sabato 19 marzo 2016

Mercoledì cinema, giovedì recensione (in ritardo). Ave, Cesare!

Una locandina che è già un programma.

L'espressione la magia del cinema è uno dei grandi inganni della storia dell'intrattenimento.
È un inganno perché il cinema non è magia: dietro ogni produzione ci sono operatori, elettricisti, scenografi, costumisti, truccatori e ogni genere di tecnici che permettono al regista di confezionare un prodotto (buono o cattivo che sia).
Contemporaneamente, non è un inganno perché quando lo spettatore entra in sala non si rende conto del fondale dipinto a mano che fa da sfondo alla scena dell'inseguimento a cavallo. Lo spettatore vede il Grand Canyon in tutta la sua magnificenza.

Sul binomio inganno/realtà lavorano, ancora una volta, i fratelli Coen, ambientando il loro film agli albori della storia della macchina meravigliosa di Holywood, quando ancora i divi non avevano i cellulari da farsi leakare.

L'umorismo surreale, marchio di fabbrica di alcuni dei più bei film del duo di fratelli del Minnesota, è riproposto in Ave, Cesare! in tutto il suo splendore. L'aspetto che io trovo più interessante di questo genere di umorismo è che ci sono scene in cui ti ritrovi a ridere da solo o momenti in cui senti qualcuno ridacchiare senza sapere assolutamente il perché. 

Il cast è ai massimi livelli, dai protagonisti fino ai camei di pochi minuti: George Clooney con l'acconciatura di una statua romana, Josh Brolin l'imbolsito sognatore, Ralph Fiennes regista maniacale, Tilda Swinton, Jonah Hill, Scarlett Johansson, Frances McDormand, Dolph Lundgren, Christopher Lambert (uscito direttamente dal congelatore, probabilmente), Channing Tatum e chi più ne ha più ne metta. 
Tra l'altro Tatum deve avere un agente della madonna. Vabbè che è bravo ma da qua a vederlo in quasi tutte le grandi produzioni in uscita ne passa, eh. 

Il film, con la scusa di essere ambientato nei grandi studios hollywoodiani, fa delle escursioni regolari in quasi tutti i generi cinematografici: c'è la chicca noir con sigaretta, pioggia e voce roca fuori campo, il western con l'attore che non sa fare altro che stare a cavallo, il giallo, il musical - una delle scene più divertenti del film - la commedia, perfino il dramma familiare. 
Forse il senso del film è proprio questo: un omaggio a tutto tondo al mondo del cinema, dal tecnico più anonimo fino al divo più capriccioso, passando per i giornalisti e i fixer degli studios.
Inoltre, vedere con quanta maestria i fratelli Coen riescono a maneggiare tutto questo materiale, in termini di generi e di attori, è una gioia per gli occhi.

Alcune scene che vorrei rivedere subito (nessuno spoiler, tranquilli):
  • Gli sceneggiatori comunisti e il loro attacco al potere capitalistico delle case di produzione
  • Il balletto dei marinai gay
  • Il confronto tra il pastore protestante, il rabbino, il prete cattolico e il pope ortodosso sulla figura di Cristo in un film
Come fai a dare un voto basso a un lavoro del genere? 8 e 1/2, meritatissimo.

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