giovedì 13 ottobre 2016

Ho partecipato al DyDay e ho visto una speranza per l’umanità

Lunedì 26 settembre 2016 ricorreva il trentesimo compleanno di Dylan Dog. Dopo anni di esaltante novità e fenomeno culturale – l’era Sclavi – quasi altrettanti di delusioni e trascinamento in storie senza più mordente, finalmente i fan (tra cui il sottoscritto), hanno avuto pane per i loro denti.

Lo hanno avuto in termini di rinnovamento delle storie, dei temi e delle atmosfere (anche se, in realtà, non ci si ritrova tra le mani un Dylan Dog 2.0 ma un fumetto che vede il ritorno alle origini, come ama sempre ripetere l’attuale curatore, Roberto Recchioni) e in termini di iniziative, editoriali e non.

Lunedì, ad esempio, nel pieno centro di Milano, c’è stato un fiorire di zombi, cosplayer, sceneggiatori e disegnatori: un’atmosfera da Dylan Dog Horror fest in embrione (questa è una speranza personale!) che era una gioia per gli occhi.

Prima è doveroso un passo indietro, però.

Leggo Dylan Dog da quando avevo dodici anni: un amico estivo (tale Pierpaolo di Torino, che mai più sono riuscito a ritrovare) mi face conoscere questo fumetto, ai tempi nel pieno del boom editoriale - era il 1993, e fu subito amore: per lo splatter, le storie con il finale aperto, le bellissime donne, i comprimari e lui, il fragile ma determinato Dylan.
Secondo me pure la mia passione per le polacchine marroni è cominciata là, ma non divaghiamo.
Poiché ero troppo piccolo e vivevo troppo lontano da Milano, non ho mai partecipato a un Dylan Dog Horror Fest e guardavo a questo evento come un traguardo di quelli da ricordare, una volta che fossi arrivato ad avere l’età giusta. La dura realtà è stata diversa: hanno chiuso l’Horror fest e io ho semplicemente continuato a leggere Dylan Dog.

Tutto questo fino a lunedì, quando finalmente mi sono ritrovato tutto emozionato all’uscita della metropolitana Duomo, nel pieno centro di Milano.

La gioia di avere nello zaino un paio di copie da farmi autografare si è scontrata subito con la fila mostruosa che partiva dal cinema dove ci sarebbe stato l’evento e arrivava fino alla fermata della metropolitana, svariate decine di metri più in giù. Già sentivo la musica triste in sottofondo e le bestemmie a fare da contorno (in realtà ero estremamente contento della coda perché voleva dire che ancora ci sono tante persone che leggono, che leggono fumetti, che escono di casa per partecipare a questi eventi. C’è una speranza anche per i nerd, in fondo).

Fortuna ha voluto che i posti riservati non siano stati tutti occupati (si vede che qualche giornalista ha preferito un qualsiasi evento della settimana della moda… povero lui!) e quindi sono stato buttato dentro tra gli ultimi dieci. Giuro, è andata proprio così.
Mi faccio largo tra i cosplayer di zombi, prendo il biglietto stampato per l’occasione (qua sotto una foto esemplificativa) e arrivo in sala.

Il mio biglietto, ancora intonso.

C’erano tutti, ma tutti tutti: Angelo Stano, Paola Barbato, Nicola Mari, Gigi Cavenago, Riccardo Torti, Michele Monteleone, chi più ne ha più ne metta e ovviamente Roberto Recchioni, che capeggiava a due metri da terra per la gioia. Tutti erano circondati da una folla di fan adoranti che porgevano loro il cartoncino del trentennale per un autografo o un disegno.

Io, che sono furbo, ho preso un posto in sala dicendomi: mi faccio firmare con calma la mia copia alla fine dello spettacolo.

La serata è stata uno di quegli eventi che i fan adorano, non c’è niente da dire. Due parole del direttore editoriale e del curatore, quindi piccola pillola dello sceneggiato radiofonico su Dylan Dog che andrà in onda su radio24, documentario sul nostro caro indagatore dell’incubo e proiezione – in formato originale – de La notte dei morti viventi.
Cosa chiedere di più? Tutti i fan (milanesi e non) chiusi in un cinema, a respirare la stessa aria che sapeva leggermente di sudaticcio e ad adorare il personaggio che seguono da svariate decadi. C’era pure quel tocco di esclusività dettato dalle anteprime dello sceneggiato e del documentario che ti fanno ricordare l’evento come un qualcosa di dedicato proprio a te.

Tra l’altro ancora non mi sono tolto il dubbio sulla pronuncia di Groucho perché l’ho sentito sia nella versione Graucio che in quella Grucio – rispettivamente nel documentario e nello sceneggiato. Ma vabbè, queste sono questioni trascurabili.

Alla fine insomma, ero emozionato come una quindicenne al suo primo concerto.

Luci in sala, tutti si alzano e io vado verso l’ingresso con il mio biglietto, ancora intonso, pronto per gli autografi.
La dura realtà si è manifestata con una giacca e un auricolare, indicandomi il lato opposto come l’unica uscita possibile. A nulla sono valse le mie preghiere: ho raccolto quel poco di dignità che mi era rimasta e sono tornato a casa.

Ho incorniciato il biglietto immacolato e mi consolo dicendomi che così non ce l’avrà sicuramente nessuno dei partecipanti… oppure che al primo Dylan Dog Horror Fest della nuova stagione avrò un cimelio da farmi autografare.


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